Benvenuti in Europa, anzi no, è l’Africa francese.
Moneta unica, libera circolazione di capitali, politica economica comune, lotta all’inflazione, cambi fissi.
Benvenuti in Europa, anzi no, è l’Africa francese.
Excursus storico.
La seconda guerra mondiale è terminata. Dalla conferenza di Bretton Woods, convenuta per dare al mondo un nuovo assetto finanziario mondiale vide i natali il 26 Dicembre del 1945, il Franco delle colonie francesi dell’Africa. A segnare la spartizione del mondo onde imporre il proprio dominio con relativi diritti di sfruttamento, ci pensa la moneta unica ancorata al franco francese.
Il franco CFA, ingabbiato in una convertibilità fissa dapprima con il franco francese e oggi con l’euro, è la pietra filosofale dei grandi potentati economici del primo mondo.
Con un cambio del tutto mortificante, assolutamente lontano dal rispecchiare la reale economia di quei paesi, le forze vincitrici affermano la loro arroganza, imponendo ai quei paesi l’imperativo della sola sopravvivenza (quando va bene).
Funzionamento:
Il franco Cfa occidentale è comune a 14 Stati africani (Benin, Burkina Faso, Guinea-Bissau, Costa d’Avorio, Mali, Niger, Senegal e Togo), mentre il franco dell’Africa centrale è adottato da Cameroon, Repubblica Centrafricana, Chad, Republic of the Congo, Guinea Equatoriale e Gabon. La valuta è gestita dalla Banca centrale degli stati dell’Africa occidentale (Bceao) e dalla Banca degli stati uniti dell’Africa centrale (Beac), mentre la Banque de France e il tesoro francese ne garantiscono la convertibilità.
In sintesi, una situazione che richiama alla mente un euro a due velocità. Il cambio sopravvalutato (ricorda qualcosa?) stabilito in 1 CFA = 1,70 FRF, fu foriero di conseguenze che probabilmente immaginate da soli1.
Esportazioni ridotte all’osso a causa dell’alto costo dei prodotti africani, stagnazione economica, rapporti di forza tra capitale e lavoro a netto vantaggio del primo, povertà, disoccupazione diffusa, bilancia commerciale in perenne deficit, impossibilità assoluta di affrancarsi economicamente2. In pratica, per poter concorrere al commercio internazionale i paesi dell’Africa francese devono comprare euro utilizzando la loro moneta ossia il franco coloniale, con il cambio ad oggi pari a 1 euro= 655,957 CFA.
Nessuna possibilità di riequilibrare il cambio nominale con quello reale, nessuna speranza di colmare gli squilibri della bilancia estera se non a prezzo di una dura austerità, parolina che ormai anche noi europei conosciamo bene. Con una severa stabilità imposta ai cittadini, che si traduce in penuria monetaria cioè in povertà, questi non hanno la possibilità economica di acquistare beni provenienti da altri paesi che aggraverebbero i conti con l’estero. Come qualcuno ricorda, l’austerità fa pagare ai poveri gli errori dei ricchi (o meglio la loro ingordigia).
Così come la commissione europea si arroga il diritto di imporre i propri dettami finanziari ai paesi membri dell’Unione europea, così le autorità francesi impongono i propri diktat, non ultimo la circolazione dei capitali, liberi di andare a spasso per il globo alla ricerca della maggiore rendita finanziaria possibile. Si stima che nel 2014 le uscite di capitali ammontassero tra i 620 ai 970 miliardi di dollari, raggiungendo fino al 24% del Pil dei paesi interessati3. Questi flussi in uscita devitalizzano ancor più una già precaria economia che, inevitabilmente, sprofonda sempre più a tutto vantaggio di altre aree finanziarie. Grazie alla condizione di sottomissione dei paesi africani viene loro imposto un rigido controllo dell’inflazione, stessa mission della Bce. Art. 3 art 127 p 1 Trattato sull’Unione europea. Si rende così impossibile l’industrializzazione, infatti si tratta di paesi ad economia prevalentemente agricola, che dipendono pesantemente dalle importazioni, manco a dirlo, francesi.
A questo quadretto si aggiunga l’obbligo per i paesi africani di detenere una riserva di moneta estera pari al 65%. Tradotto significa che su ogni miliardo di prodotti esportati, i paesi coloniali versano al tesoro francese la somma da capogiro di 650 milioni, ricorda nulla?
Il MES (meccanismo europeo di stabilità) possiede un capitale di circa 700 miliardi di euro, di cui 80 miliardi versati dagli stati membri, la cifra restante viene raccolta tramite obbligazioni direttamente sul mercato.
E se un paese membro, ad esempio l’Italia, necessitasse di quel denaro? Semplice: basta chiedere un regolare prestito pagando il relativo interesse (art 3 Trattato istitutivo del MES).
Lo stesso identico schema venne imposto subito dopo la guerra, ai paesi sotto scacco del dollaro. Il progetto di White che disegnò il sistema di funzionamento del FMI, prevedeva infatti un fondo di stabilizzazione internazionale di almeno 5 miliardi di dollari, costituito da oro e divise dei paesi partecipanti, l’equivalente di una riserva. Tali progetti sono studiati per imporre un limite all’incremento della massa monetaria, che quindi non rispecchia appieno lo sviluppo economico dei paesi4. Lo scollamento tra volumi di massa monetaria resa rara rispetto ai beni prodotti, ha il solo scopo di consolidare l’egemonia del capitale e della classe dei rentier, rispetto alla classe sottoposta che produce beni reali. Tali imposizioni infatti sono privi di sinallagma e non ritornano alla comunità che li ha versati, nessun bene e/o servizio.
Anche l’Iva introdotta in Italia con il DPR del 23.10.1972, lungi dal prevedere un “do ut des”, ha come scopo dichiarato l’armonizzazione fiscale.
Dopo vari rinvii si prevede entro il 2020 di introdurre una nuova divisa comune denominata ECO, come sottoscritto nel Trattato di Lagos del 1975 e che stabilisce i seguenti criteri di convergenza:
I quattro criteri principali sono
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Tasso di inflazione ad una sola cifra alla fine di ogni anno
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Deficit di bilancio non superiore al 4% del PIL
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Finanziamento del deficit statale da parte della banca centrale non superiore al 10% delle entrate fiscali dell'anno precedente
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Riserve esterne lorde che possano dare copertura delle importazioni per un minimo di tre mesi
I sei criteri secondari sono
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Divieto di nuovi default nazionali
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Gettito fiscale uguale o superiore al 20 per cento del Pil
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Massa salariale da tassare pari o inferiore al 35 per cento
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Investimenti pubblici derivanti dal gettito fiscale pari o superiore al 20 per cento
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Tasso di cambio reale stabile
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Tasso di interesse reale positivo.
A tutt’oggi solo il Ghana ha soddisfatto i quattro criteri principali5. È evidente l’impossibilità assoluta di autodeterminazione che svuota completamente di significato la parola libertà, oggi tanto di moda. Sarà un caso che proprio dal continente nero si muovono ondate di persone alla ricerca di nuova vita?
Come diceva il Prof Giacinto Auriti: “la moneta è come l’acqua per i pesci e nei periodi di siccità i pesci si spostano verso le pozzanghere d’acqua”.
Noi ci auguriamo che si ponga fine all’anemia monetaria indotta dall' alto e si restituisca finalmente dignità all’uomo con la proprietà popolare della moneta.
Per Scuola di Studi Giuridici e Monetari “Giacinto Auriti”, Dott.ssa Sara Lapico
06/02/2018
note
2 Il franco CFC va distinto dal franco CFA in uso in Nuova Caledonia, Polinesia ecc., di cui qui non ci occuperemo.
3 http://sociale.corriere.it/la-fuga-illegale-di-capitali-dallafrica-che-arricchisce-le-banche-dei-paesi-ricchi/
4 L’ordinamento del sistema internazionale, Giacinto Auriti, Solfanelli