Cartaceo o digitale? Euro o Lira? No, grazie: prima la proprietà
Mi imbatto in un sondaggio telefonico circa l'utilizzo della moneta elettronica e degli innovativi sistemi di pagamento ad essa collegati. Tralasciando la mia opportuna domanda del come avessero ottenuto il mio numero di telefono, riguardando la moneta, mi sono prestato volentieri all'intervista.
Le domande con ogni probabilità sono state commissionate, e per questo motivo calibrate in modo da incanalare il contesto comunicativo verso la universale concezione secondo cui "moneta elettronica è: bello, comodo, pratico, sicuro, tracciante, innovativo, moderno, al passo con i tempi". Invece il contante è sinonimo di: "arcaico, vecchio, fraudolento, non sicuro, non al passo coi tempi, ecc.".
Personalmente ho fatto in modo che la mia intervista si incanalasse in direzione di un risultato che mi permettesse di far venir fuori che desidero decidere io, quale mezzo di pagamento utilizzare, ma vi assicuro che è molto difficile condurre un'intervista dove le risposte sono del tipo si/no, acceso/spento, bello/brutto, buono/cattivo, Coppi/Bartali, Moser/Chiappucci, Almirante/Berlinguer, Rai/Mediaset, Totti/Del Piero, Rivera/Mazzola..... guelfi/ghibellini.
Occorre ammettere che la dematerializzazione è irreversibile, ma non per i motivi che vogliono farci credere. Si calcola infatti che solo il 10% circa della moneta in circolazione si manifesti attraverso il supporto cartaceo. Il resto è moneta scritturale.
Tutto questo è confermato anche dalla BCE, che ci comunica che la moneta emessa dalla Banca Centrale Europea, denominata “moneta esterna”, differisce da quella generata dalle banche commerciali, denominata “moneta interna”.
La prima viene emessa per soddisfare la richiesta di liquidità da parte delle banche commerciali e, a detta di questa nota della B.C.E., “non rappresenta debito per nessuno”, mentre la seconda viene emessa dietro garanzia del credito privato.
“La moneta interna è così denominata perché ha come contropartita il credito privato: se tutti i crediti detenuti dalle banche verso il settore privato fossero estinti, la moneta interna creata sarebbe annullata. Quindi, è una forma di moneta che viene creata, e può essere annullata, nel settore privato dell’economia”.
Nel mentre, la Banca d’Italia comunica che “L’unica forma di moneta legale –ossia dotata del potere di estinguere le obbligazioni in denaro– è la moneta emessa dalla B.C.E. in quanto la sua creazione si basa su rigorose procedure che garantiscono la fiducia generale nella moneta e la stabilità del suo valore nel tempo”.
Quindi, ove ce ne fosse bisogno, riusciamo a comprendere che:
1) Le banche centrali emettono moneta a corso legale solo per soddisfare le esigenze delle banche commerciali;
2) Le banche commerciali immettono nel sistema un tipo di moneta scritturale “interna” quale mezzo di pagamento utilizzabile per il settore privato.
3) Le banche centrali utilizzano anch’esse moneta dematerializzata pur mantenendo i crismi del corso legale.
Le conseguenze sono logiche e semplici:
1) Le banche commerciali liquidano i rispettivi saldi in moneta a corso legale essendo obbligate a tenere un conto presso le banca centrale;
2) Questa operazione avviene in moneta a corso legale;
3) La quantità di moneta a corso legale in circolazione è diretta conseguenza dell’esigenza di accontentare la propensione della clientela a detenere denaro contante in portafoglio, ossia quel circa 10% di cui si parlava in precedenza;
4) La richiesta di moneta a corso legale da parte delle banche commerciali verso la banca centrale rappresenta un costo per le prime;
5) Quando le banche commerciali hanno carenza di liquidità possono rivolgersi al mercato interbancario corrispondendo il tasso previsto per le operazioni overnight o direttamente alla BCE corrispondendo il tasso di interesse sulle operazioni di rifinanziamento principali.
Altro sistema è quello legato al QE ossia quello di cedere TdS alla Banca Centrale, ma prima di proseguire è necessario fare una piccola disamina di tale operazione.
Come evidenziato in precedenza, il QE ha permesso alle Banche commerciali, e solo ad esse, di ottenere quella liquidità perduta dopo la crisi. Infatti i TdS non vengono acquistati direttamente dalla BCE ma riacquistati dalle Banche Commerciali, autorizzate a compiere tale operazione sul mercato primario. Quelle che compie la BCE sono tutte operazioni di rifinanziamento verso le Banche Commerciali. L’annuncio di voler dimezzare prima, e di eliminare poi il QE vuol solo significare, come primissima conseguenza, che le Banche Commerciali saranno sempre meno aiutate a reperire liquidità per portare a termine le proprie operazioni. Dovranno in pratica tornare a cavarsela da sole e fino alla prossima crisi. Del resto non è importante nemmeno che si chiami Lira o Euro. Il discrimen è e resta la risposta alla domanda essenziale: chi è il proprietario della moneta?
Dopo questa parentesi doverosa torniamo al sondaggio ed al suo fine, ossia farci accettare sempre meno il contante e sempre più la moneta elettronica. Nulla quaestio al riguardo purché, all’atto dell’emissione, la moneta, cartacea o elettronica, sia riconosciuta di proprietà del popolo, qualità che deve essere riconosciuta coma primissima cosa da far ottenere.
È subdolo volerci far credere che l’evasione dipenda dalla quantità di contante in circolazione. Essa, piuttosto, è divenuta una necessità per l’enorme pressione fiscale, un sistema le cui norme prevedono l’odioso sistema dell’inversione dell’onere della prova.
Tale situazione non è recente come ci raccontano. Infatti leggendo alcuni articoli riguardanti la pressione fiscale e l’aumento del debito pubblico, spesso ci si imbatte in una considerazione ricorrente, ossia che i nostri mali hanno inizio con la “separazione di Banca d’Italia dal Tesoro”, separazione mai avvenuta in quanto nemmeno di matrimonio si trattava.
Correva l’anno 1981, luglio per la precisone. Ma allora perché nel 1977 fu introdotta la norma che prevedeva il versamento dell’acconto delle imposte? Infatti, con la Legge 23 marzo 1977 n. 97, all’articolo 1 veniva prevista la misura del 75% da versare in acconto entro il mese di novembre (IRE poi divenuta IRPEF), da calcolare sulle imposte versate l’anno precedente. Poi, con successive variazioni della legge principale, sono stati introdotti acconti anche per l’IRAP, IRES (ex IRPEG). Siamo arrivati a versare fino al 101,50% dell’IRES ed il 100% dell’IRPEF, in seguito ritoccate in leggero ribasso.
La finanziaria del 1991 introduceva l’acconto nella misura dell’88% dell’IVA da versare entro il 27 dicembre di ogni anno. La legge che la introduceva era l'art. 6 della L. 29 dicembre 1990, n. 405. L’IVA è stata introdotta nell’anno 1972. Sostituiva l’IGE (Imposta Generale sulle Entrate). La legge istitutiva dell'I.V.A. è il D.P.R. n°633 del 26/10/72. L’IVA consta di svariate aliquote ma quella di riferimento è l’aliquota ordinaria (attuale 22%). Inizialmente era posta al 12% (01/01/1973) ma fino al 1981 ha subito cinque variazioni arrivando al 15%. Girone dantesco che non poteva e non può essere arrestato nemmeno prevedendo l’emissione del biglietto di stato. Per questo motivo, ben vengano tutte le riforme semplificative, previste e prevedibili, nell’ambito del diritto tributario, come per esempio l’eliminazione dello spesometro e di tutta una serie di invii telematici verso l’Agenzia delle Entrate che, diciamolo chiaramente, servono solo a creare i presupposti dell’errore per applicare la sanzione prevista. Buona parte di tali comunicazioni sono ridondanti e servono a svilire sempre più una categoria, quella dei commercialisti e tributaristi, letteralmente vessata da tali scadenze e procedure impedendo loro di compiere quell’attività di consulenza che è alla base della loro professione. Ma la soluzione della riforma del diritto tributario, quella unica e vera è solo quella auritiana, che fa il paio con l’introduzione del reddito di cittadinanza, quello vero, che non è altro che la rendita derivante dall’esercizio della proprietà della moneta.
Tutti i grafici che ci mostrano i sovranisti, guarda caso, partono dal 1981, ma quello che stava accadendo già dagli anni precedenti non ha nulla da invidiare ai processi anatocistici. La capitalizzazione degli interessi non risponde ad una funzione lineare bensì esponenziale, quindi, a dir poco più che proporzionale. Nonostante si fosse in un sistema di avanzo primario del bilancio dello Stato gli interessi dovevano essere rifinanziati. Ed ecco spiegato perché il debito pubblico aumenta e basta. Qualunque sia la ricetta che i rappresentanti politici vogliono adottare non può prescindere da questa chiarissima evidenza: il debito pubblico non potrà mai diminuire. Se in media il nostro paese ogni anno è costretto a pagare dagli 80 ai 100 miliardi di euro di interessi passivi questo vuol dire che ogni anno devono essere previsti tagli e/o svendite del patrimonio nazionale per 80/100 miliardi di euro.
Altre ricette non ve ne sono, per chi non ha compreso il funzionamento della moneta auritiana. Se poi i nostri rappresentanti politici pensano di poter risolvere la questione prevedendo imposte sull’emissione monetaria e/o l’innalzamento delle aliquote, magari in preda di una cieca visione giustizialista, si produrrebbe solo un grosso ed inutile buco nell’acqua. Tali provvedimenti riverbererebbero i loro effetti sull’economia reale, danneggiando ulteriormente la già asfittica quantità monetaria in circolazione. Si, perché il bene moneta viene emesso in circolazione in regime di monopolio/oligopolio con la conseguenza che tutti i provvedimenti che prevedano aumenti, che vanno dall’aumento del tasso, delle commissioni, delle spese generali, delle imposte, verrebbero scaricate su chi non può evitare tali maggiori costi, ossia il richiedente.
Nel perseguire ed appoggiare le tesi impositive-fiscali si dimostra di non aver compreso il messaggio auritiano. Che ci ammonisce, ricordandoci che l’esproprio dei cittadini avviene attraverso il prelievo fiscale. Il concetto per cui "moneta di Stato è comunque un passo avanti", che osserviamo in molte correnti sovraniste di pensiero economico e politico, è semplicemente il contraltare mainstream alla concezione attuale di governance degli istituti di emissione indipendente dal potere statuale e politico.
La soluzione, prima che statalista deve essere quella tratteggiata dal professor Auriti, e riguarda il diritto. La prima cosa che va riconosciuta dal diritto è la proprietà popolare della moneta implementandola come principio giuridico imprescindibile nella stesura di leggi dello Stato. La seconda cosa è che venga riconosciuta la proprietà popolare della moneta implementandola come principio giuridico imprescindibile nella stesura di ogni legge dello Stato. Ed è anche la terza. Non per niente la sua tesi si intitola, per l’appunto, Tesi del valore indotto e della proprietà popolare della moneta. Altrimenti l’avrebbe chiamata Tesi del valore indotto e della proprietà statale della moneta.
17 Giugno 2018
Massimiliano Scorrano, Scuola di Studi Giuridici e Monetari “Giacinto Auriti”
note
Immagine: Pagamento del tributo, Masaccio, 1425, affresco, chiesa di Santa Maria del Carmine, Firenze.
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